Simone è un ragazzo come tanti. Due mesi fa occupava il posto di responsabile del comparto grafico in un’azienda di Rovigo, oggi è impegnato a scavare le fondamenta di una scuola materna a Pemba, in Mozambico. Non ci è arrivato per caso, ovviamente. Tutto ebbe inizio nel 2009, quando andò nel Paese africano come volontario tramite l’associazione laica Voci e volti, di Verona.

Il sodalizio veneto, attivo già da alcuni anni sul territorio mozambicano, qualche mese fa chiese a Simone se volesse far parte di un nuovo progetto di sviluppo. Non sappiamo esattamente cosa sia passato per la testa del 28enne ferrarese, innamorato della sua città e molto attivo sul territorio in cui viveva. Fatto sta che accettò. Il progetto in cui è coinvolto riguarda il villaggio di Chuiba, vicino alla città di Pemba (siamo nel nord del Mozambico, vicino alla Tanzania), che al momento vive di pesca e agricoltura. Questo fragile equilibrio sta per essere spezzato dall’avvento del turismo. Alcune compagnie alberghiere hanno acquistato diversi ettari di terreno sulla costa, l’hanno già recintato e sono pronte a costruire. L’intento di Voci e volti è di accompagnare la comunità al cambiamento. Simone, da quando è partito, tiene un blog della sua esperienza. Ogni settimana pubblica un post in cui aggiorna sullo stato dei lavori, sulle persone che conosce e sui suoi pensieri. Di giorno in giorno si trova in situazioni nuove, in cui deve saper mediare tra la mentalità “occidentale” e quella locale, viziata da anni di guerre, logiche tribali ancora molto presenti e un’assuefazione all’assistenzialismo che ha impedito alla popolazione di sviluppare una progettualità di lungo periodo.

«Non si chiede una partecipazione economica alle famiglie – scrive Simone nell’ultimo post – bensì di dare quello che hanno, ovvero la forza lavoro. Sembrava tutto chiaro, fino a quando non abbiamo iniziato a scavare. Ecco che i tre ragazzi che si sono offerti di lavorare iniziano a domandare un po’ di denaro piuttosto che alimenti: “Qui siamo in Africa, nessuno lavora per nulla”. Mi sono dovuto trattenere. È così facile qui perdere la pazienza. Ci siamo seduti e abbiamo iniziato a discutere, coinvolgendo anche il capo villaggio. Il concetto è molto chiaro, il lavoro deve essere volontario perché noi siamo qui solo per loro, per aiutarli nella crescita. […] Un italiano mi ha detto di considerare spacciata questa generazione, perché per 25 anni, durante la guerra, arrivavano camion dalla Tanzania a distribuire sacchi di cibo in maniera del tutto gratuita. Le conseguenze sono queste, le persone stanno sedute sperando in un aiuto».

Ma il Nostro non ha intenzione di mollare, anche perché, in confidenza ci ha detto di avere «voglia di fidarmi delle persone qui, voglia di rispettare i tempi e grazie a questi ritmi trovare io stesso la serenità che nella frenesia europea spesso sfugge. Ho voglia di aiutare ed insegnare quello che posso». Caro Simone, in bocca al lupo per il tuo lavoro, continueremo a seguire gli aggiornamenti sul tuo blog.