Un quadro dai contorni inquietanti quello dipinto dall’approfondimento del settimanale Vita del 13 aprile sul welfare per minori e adolescenti. Soprattutto pensando al medio-lungo periodo. La strategia dei sindaci in merito è infatti volta a garantire i servizi più urgenti e improrogabili, mentre per tutto il resto si rimanda. Ma a quale futuro? Probabilmente, uno in cui non ci sarà più nemmeno il “gruzzoletto” di oggi, visto che dal 2013 verranno al pettine i nodi intrecciati dagli interventi normativi che il governo sta mettendo in atto da alcuni mesi.

La situazione è descritta, senza fronzoli, da Enrico Fagetti, presidente della fondazione Paolo Fagetti e della Casa di Paolo e Piera, una comunità educativa per minori inaugurata a giugno 2011 a Olgiate Comasco. «Con i tagli dei trasferimenti agli enti locali -racconta al giornale-, i Comuni non hanno più i soldi per pagare le rette e quindi non allontanano più i minori. Preferiscono lasciarli in famiglia, anche quando la situazione è estremamente compromessa». Parole pesanti, che provengono da chi ha visto finora vanificati i propri sforzi di dare al territorio una struttura e dei servizi di grande importanza. Già, perché da quel 5 giugno a oggi nella Casa non si è visto neanche un bambino. I primi cinque sono arrivati il 16 aprile, ma per un servizio diurno.

Ciò che sta saltando è la sperimentazione innovativa nei servizi per la prima infanzia e della progettazione per il tempo libero e il sostegno alla genitorialità, inaugurata dalla legge 285 del 1997. Parole di denuncia arrivano anche da Liviana Marelli, referente nazionale per i minori del Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza: «Si tira in là, si fanno tanti interventi tampone e si invia in comunità quando la situazione è esplosa. Noi vediamo arrivare ragazzi sempre più grandi, adolescenti di 15/16 anni, con situazioni sempre più complesse, spesso borderline, dove si intersecano problemi psichiatrici o penali. Ormai c’è solo l’intervento riparativo, che impone il collocamento in strutture altamente specializzate».

Cambiano le tipologie di problematiche che si presentano alle diverse strutture, e di conseguenza deve cambiare il modo di affrontarle. Il che richiede nuove professionalità. Ma i Comuni chiedono sconti alle rette, il che impone interventi di arginamento delle minori entrate, quindi tipicamente si aumenta la capienza, riducendo così il rapporto tra il numero di educatori e quello di minori. Le statistiche parlano chiaro sugli effetti delle tendenze recenti: «Gia prima della crisi, secondo l’Istat -si legge nell’articolo-, la spesa sociale dei Comuni per i servizi residenziali era scesa da 221 milioni di euro del 2007 ai 186 del 2008. […] In Lombardia i minori in comunità residenziali nel 2009 erano il 17 per cento in meno che nel 2003, con un crollo di 12 punti percentuali, tra il 2006 e il 2010, degli invii alle comunità educative classiche e un boom delle comunità familiari».

E nonostante la legge 149 del 2001 indichi l’affido come strada privilegiata per accompagnare un minore che non può stare nella propria famiglia, non sembra sia questa l’origine del calo. «All’ultima rilevazione nazionale, nel 2008, i minori in affido erano aumentati del 49 per cento rispetto al 1999, arrivando a essere la soluzione scelta per poco meno della metà dei 30.200 minori fuori famiglia: ma secondo Enrico Moretti, responsabile dell’area statistica dell’Istituto degli Innocenti, l’affido “già tra il 2007 e il 2008 aveva subìto una battuta d’arresto, calando del 9,5 per cento”».

La colpa non è sempre dei sindaci, come cerca di spiegare Lorenzo Guerini, primo cittadino di Lodi. Paradossalmente, infatti, la spesa sociale dei Comuni è in crescita, nonostante la diminuzione della quota trasferita dallo Stato: «Nell’area lombarda, per esempio, è cresciuta del 10 per cento. Si fa con uno spostamento di risorse all’interno dei bilanci, tagliando in altri settori, come la cultura». 1,2 miliardi di euro è la differenza tra i trasferimenti statali nel 2001 rispetto a quelli del 2008. Si partiva da un fondo di 1,4 miliardi, oggi sono 200 milioni. «Risulta evidente -continua Guerini- che, dopo la grande stagione della 328 (legge del 2000: “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, ndr), le politiche locali non sono più una priorità per il livello centrale».