L’attacco terroristico a Westminster, il quartiere di Londra in cui ha sede il Parlamento inglese, è un ulteriore episodio drammatico di questi tempi tesi e difficili. Il fatto che arrivi a un anno esatto dall’attentato all’aeroporto di Bruxelles, che causò 32 vittime e 340 feriti, sembra creare un filo narrativo in una sceneggiatura di cui non si capisce bene chi siano gli autori. Rispetto alle organizzazioni terroristiche con cui l’Europa e il mondo intero hanno a che fare da decenni, la novità degli ultimi anni è proprio la natura “autonoma” che spesso caratterizza gli attentatori.

Sono stati chiamati “lupi solitari”, come a Nizza o a Berlino. Persone quasi sempre nate in Europa o comunque non legate alle rotte dell’immigrazione. Criminali comuni fino al momento dell’attentato, che magari sono finiti in carcere anni prima e, nei modi più diversi, hanno cominciato a essere attratti dalla propaganda del terrorismo islamista. A quel punto non c’è bisogno che l’Isis, in quanto apparato organizzativo, faccia più di tanto. Al futuro attentatore bastano un po’ di informazioni, un bersaglio qualsiasi, un ideale confuso e insensato che dia motivazione. Altro marchio di fabbrica dei terroristi fai-da-te, da circa un anno a questa parte, è l’utilizzo di automobili o camion come proiettili da lanciare a tutta velocità contro una folla indistinta e inerme. Una strategia in uso da tempo presso organizzazioni attive in Medio Oriente, ma che per l’Europa rappresenta una novità. È un tipo di attacco che fa meno vittime dei mitra e delle bombe, ma che ottiene comunque il risultato di uccidere, ferire e seminare la paura.

Eppure, nonostante ci siano segnali evidenti del fatto che non ci sono più in Europa luoghi che si possano considerare completamente sicuri (impressionante il numero di morti causate dal terrorismo islamista negli ultimi due anni: 168 nel 2015, 147 nel 2016), bisogna sforzarsi di guardare la situazione da un punto di vista più complessivo, più alto. Prova a farlo il giornalista francese Bernard Guetta, in un articolo per il sito della radio France Inter tradotto da Internazionale. Guetta fa notare come, dietro agli attentati che si sono susseguiti in Europa negli ultimi mesi e anni, si nasconda un paradosso non immediato da comprendere: il terrorismo, a dispetto del numero di vittime che sta causando, è in grande difficoltà. Le motivazioni che il giornalista propone a supporto di questa affermazione riguardano il fatto che, rispetto anche solo agli anni in cui proliferavano Osama Bin Laden e Al Qaida, dietro alle organizzazioni terroristiche non ci sono più Stati e regimi compiacenti. «In passato il terrorismo ha ricevuto armi, denaro e protezione – scrive Guetta –, ma ormai da tempo l’Iran ha smesso di servirsi di questo strumento, l’Afghanistan non è più una roccaforte di al Qaeda, l’Arabia Saudita, il Kuwait e la Turchia non usano più l’Is nella guerra tra le due correnti dell’islam che dilania il Medio Oriente e non ci sono più gli stati dietro il terrorismo, perché tutti hanno capito che il terrorismo è un’arma a doppio taglio e altri stati, le grandi potenze, sono pronti a far pagare il prezzo di questa pericolosa incoscienza». Tanto che, si potrebbe aggiungere, l’organizzazione nota come Stato Islamico sta effettivamente cercando da tempo di impossessarsi di un territorio in cui issare la propria bandiera, trasformandosi così da gruppo terroristico a entità pseudo-statale con i suoi confini e le sue istituzioni interne.

È un processo di espansione che ha approfittato dell’instabilità che caratterizza da molto tempo il Medio Oriente, che però ora sembra essersi arrestato, ed ecco il secondo motivo di debolezza dello Stato Islamico: «Dopo essere quasi riuscito a formare davvero un nuovo stato sunnita a cavallo tra Iraq e Siria, l’Is sta perdendo terreno, e i suoi tentativi di rilanciarsi in Libia e nel Sahel sono preoccupanti ma anche poco concreti. All’indomani dell’attentato di Londra sembra difficile dirlo, ma la verità è che il terrorismo, per quanto mantenga le sue capacità di seminare morte, è in grandi difficoltà».

Purtroppo tutte queste considerazioni non cambiano lo stato delle cose: resta la percezione di essere tutti ugualmente esposti alla violenza improvvisa, insensata, inspiegabile. Diventa per noi sempre più difficile trovare una conclusione a questo genere di articoli, perché fatichiamo a trovare i punti fermi a cui ancorare la convinzione che sia necessario non cedere alla paura, alla cultura del sospetto, alla chiusura verso l’altro. Eppure, è proprio in questi momenti difficili che ci si deve sforzare, ognuno come può, di fare propri i valori di pace, tolleranza e rispetto che hanno consentito all’Europa di diventare sinonimo di pace e stabilità.

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